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Atti comunicativi e mediazione, di F. Tonello, F. Tebaldi, A. Cantagallo, con Introduzione di A. Mascia

Atti comunicativi e mediazione, di F. Tonello, F. Tebaldi, A. Cantagallo, con Introduzione di A. Mascia

Atti comunicativi e mediazione, di Fabio Tonello, Francesca Tebaldi, Anna Cantagallo (BrainCare)

Introduzione di Alberto Mascia, Owner & Partner Studio Legale Mascia – Avvocati Associati, Socio fondatore e Consigliere FormaMed – Vice-Presidente APM (Avvocati Per la Mediazione)

La mediazione finalizzata alla conciliazione, strumento di definizione amichevole e stragiudiziale delle controversie è compiutamente inquadrata in una più ampia manovra di riforma dell’intero sistema giustizia.

Sin dalle prime esperienze legislative in tema di conciliazione-mediazione, si è cercato di puntare alla ricerca di professionalità, efficienza e qualità del servizio di definizione stragiudiziale delle dispute, al fine di offrire alla collettività, enti, associazioni, imprese, strumenti più agili, economici e partecipativi del giudizio.

Il legislatore prima, in chiave di stesura dei testi di legge, e il Ministero della Giustizia poi, in chiave di adozione di atti attuativi delle riforme legislative, sono stati costantemente e concordemente impegnati nella ricerca di quella qualità e professionalità imprescindibile per ogni servizio di mediazione e gestione stragiudiziale dei conflitti.

Dalla legge delega 69/2009 (art. 60) al decreto legislativo 28/2010, fino a giungere al Regolamento di attuazione (D.M. 180/2010) e alle recenti modifiche allo stesso contenute nel D.M. 6 luglio 2011, n. 145; la mediazione ha accolto l’importante sfida di ampliare concretamente e in modo efficiente i canali di accesso alla giustizia, sul monito comunitario del better access to justice.

Le principali novità in materia riguardano tanto le previsioni del decreto legislativo 28/2010, per la parte più operativa e gestionale, quanto quelle contenute nel decreto ministeriale 180/2010 – come recentemente integrato e corretto -, per la parte più organizzativa e burocratica. Entrambi i documenti hanno portato al movimento della mediazione finalizzata alla conciliazione un rilevante contributo.

Sotto il profilo strutturale, l’importanza di un servizio di mediazione è evidenziata sia dal punto di vista soggettivo, sia di quello oggettivo.

Per quanto attiene al primo profilo, assumono particolare rilievo la figura del mediatore, gli organismi di mediazione, le parti e i rispettivi assistenti, il Responsabile del Registro e il Responsabile dell’Organismo di Mediazione. Con riferimento al secondo, vengono in esame innanzitutto le materie di cui si occupa il decreto 28/2010, il Regolamento di mediazione, il Codice etico dell’organismo di mediazione, le clausole di mediazione e le indennità del procedimento, la riservatezza, tutti quei criteri per l’iscrizione degli Organismi nel Registro, nonché ogni altro profilo necessario per definire, soprattutto agli occhi del Ministero della Giustizia, la funzionalità del servizio di mediazione.

Mediazione è anche altro, molto altro. Sin dal primo momento in cui le parti vengono contattate dal servizio di mediazione dell’Organismo scelto, si instaura quel clima di correttezza e trasparenza assoluta che rendono un servizio veramente serio, affidabile ed efficiente sia con riferimento alle informazioni fornite alla collettività, sia alla qualità e scrupolosità del lavoro che si va a proporre. E dunque, senza proporli in ordine e senza presunzione di esaustività, scelta della location ideale per consentire l’incontro tra le parti, presentazione dei principi e della struttura snella e flessibile del procedimento, attenzione per la confidenzialità e deontologia del mediatore e di tutti coloro che operano all’interno dell’Organismo, clima di rispetto misto a empatia che consente di ‘entrare’ nella vicenda oggetto di mediazione, individuazione dei canali comunicativi utilizzati dalle parti e via di seguito. La mediazione entra in azione.

Atti comunicativi e mediazione, di Fabio Tonello, psicologo in BrainCare, Padova; Francesca Tebaldi, psicologo in BrainCare; Anna Cantagallo, neurologo e neuropsicologo, direzione scientifica in BrainCare, Padova

Mediazione è comunicazione. Comunicazione è mediazione.

Essa è il canale principe attraverso cui le molteplici “forze” in gioco nella mediazione si esplicano e concretizzano. È una sorta di “non luogo”, dove pensieri, emozioni, stili e valori delle parti vengono messi in contatto dalla facilitazione del mediatore.

Essenziale quest’ultimo punto: la figura del mediatore non si concretizza in una sorta di filtro comunicativo, né di interpretatore di processi inconsapevoli interni alle parti in causa; a nostro parere assume bensì una funzione di facilitatore e guida, verso come “campo di gioco” neutro, in cui i contenuti di una parte si incontrano con quelli dell’altra; qui questi hanno la possibilità di avvicinarsi e sondarsi “in sicurezza”, fino al raggiungimento di uno sperato esito condiviso.

Il mediatore si trova così a far affidamento a tutte le sue capacità cognitive, psicologiche, sociali ed umane, oltre che alle sue competenze professionali specifiche per la mediazione utili per concretizzare questo campo neutrale.

Il punto di partenza è una sorta di “mantra”, cioè di pensiero da ripetersi nella mente e da incarnare al meglio: “sii il cambiamento che vuoi ottenere”. Significa avere chiari i passi e gli obiettivi, la coerenza e la calma, e diventare il modello del cambiamento delle parti. Acquisita la forma mentale, entrati nello stato di coerenza ed energia suggerito dal mantra, si passerà poi agli atti pratici.

Comunicazione nella mediazione significa attraversare quattro atti comunicativi:

È paradossale ma gli sforzi iniziali che il mediatore si trova ad affrontare sono legati al non fare: come un cocchiere deve tenere a freno le spinte, comuni a tutti noi, a selezionare specifiche informazioni, a categorizzare, interpretare o completare il contenuto di ciò che gli viene trasmesso dalle parti. Il primo atto comunicativo diviene quindi un’espressione non verbale, che si realizza nella preparazione del campo neutro in cui le parti possano mostrarsi. È un passaggio complesso: significa riuscire a gestire clienti furiosi, o parti in contesa da anni. Oppure persone passive, inclini ad accettare quello che verrà pur di concludere il tutto.

La figura del mediatore è il terzo incomodo in una discussione già da tempo avviata. Sbagliato!

In questa prima fase è il cardine e il traghettatore, colui che mostra la porta d’accesso al “campo di gioco”: non giudica e non dà ragione, non risponde al tentativo delle parti di creare il loro “campo di gioco”. La sua forza mentale e psicologica si esprime nell’indicare la porta d’accesso, condizione necessaria all’inizio ed avvio delle pratiche.

Il secondo atto comunicativo consiste nella creazione del suddetto campo nella realtà delle parti: è una fase delicata, nella quale il mediatore mostrerà il “campo di gioco”.

L’attenzione qui si sposterà sull’empatia e sulla chiarezza: sta venendo costruito lo spazio di fiducia nel quale le parti potranno aprirsi, con i loro dubbi e pretese, con i loro conflitti e i loro desideri. Questa fase non ha un tempo delineato per realizzarsi: spesso il mediatore si troverà a ripercorrere i confini del campo, altre volte riporterà le parti all’interno dello spazio “sicuro”, e questo potrà succedere in ogni momento della mediazione, anche nelle fasi conclusive. Qui l’attenzione deve essere forte: la fermezza e la coerenza del mediatore permetteranno l’instaurarsi del clima di fiducia utile all’atto di mediazione. La comunicazione non verbale del mediatore è essenziale: va comunicato a persone che arrivano con il loro bagaglio di idee e modi che in quel momento entreranno in un campo diverso, preparato per loro, ma dove il mediatore è passaggio e chiave centrale. La postura, i cenni, le occhiate, il direzionamento della vostra attenzione saranno i primi segnali che le parti valuteranno e sfideranno.

Le emozioni dirompenti di certi clienti andranno a saggiare e forzare questi confini. Qui l’attenzione sarà rivolta a canalizzare queste emozioni, mostrando che solo l’adesione al campo di gioco porta a passi avanti. Ecco dove guida e facilitatore si incontrano. Non vince chi urla di più, né chi si scalda di più. Ma nemmeno chi cede in maniera totale.

Il terzo atto comunicativo richiede al mediatore di ricordare un aspetto fondamentale: quanto più possibile l’atto deve discostarsi dal “compromesso di sconfitta”, nel quale si soddisfano i desideri superficiali, i pensieri più automatici e le emozioni più calde e attive, ma proiettarsi verso il “compromesso di soddisfazione”, nel quale il risultato va ad avvicinarsi ai valori fondanti delle parti in causa, a quelli che sono i pensieri più centrali che li spingono e motivano.

In questo senso risulta importante prestare adeguata attenzione agli aspetti:

di contenuto – sono le informazioni scambiate, le modalità con cui le parti si rivolgono tra loro, il modo con cui si pongono verso la contesa e verso il mediatore;

pratici e manifesti – sono le manifestazioni più dirette dei pensieri e delle emozioni che si agitano all’interno delle parti: possono manifestarsi in cambiamenti del modo di comunicare appena un dato argomento viene trattato, o esprimersi nel dialogare di o con una specifica persona (la parte avversa, il mediatore, …). Più in generale, possiamo dire che sono le richieste più dirette ed immediate che le parti esprimono durante la comunicazione. Sappiamo però che queste esternazioni a volte rappresentano un “campo minato”, in quanto risultano essere tentativi di prevaricazione, o di stabilire chi ha torto e chi è nel giusto, e così via. Se questo fosse il caso ci ritroveremmo in un vicolo cieco;

valoriali – significa “riferite ai valori”, intesi come i cardini su cui le persone definiscono la direzione della propria vita. Sono quei principi che ognuno di noi, in modo del tutto personale, persegue e cerca di raggiungere, qualcosa di ideale e slegato da quello che si può ottenere dagli altri (è come dire ad esempio fare beneficienza senza che nessuno lo sappia). A volte però questi valori sono nascosti, sommersi da emozioni di rabbia o volontà di rivalsa.

La persona che urla e si scalda ci sta dicendo la sua idea pratica e manifesta, ma il grado della sua furia ci parla dell’importanza del valore che vede leso. A poco a poco ci servirà seguirne l’idea manifesta: vi trovereste a discutere ad ogni passaggio, in una sorta di continua schermaglia dove i punti di accordo sono fittizi. Quante volte vi è capitato?

Quarto ed ultimo atto comunicativo è quello deputato a raccogliere ciò che si è costruito nei precedenti tre passaggi e inserirlo nel campo neutro nel quale la mediazione sta prendendo atto. Qui la comunicazione tra le parti e il professionista diviene più profonda, slegata agli aspetti più manifesti ed immediati, e rivolta invece a capire cosa ci sia di importante in gioco e come raggiungerlo, scevri da desideri di rivalsa o vittoria. Compito del mediatore sarà mantenere la sua coerenza, aiutando le parti a rimanere all’interno del campo neutro, ora arricchito da aspetti personali di centrale importanza.

Sicuramente alcune mediazioni non avranno un andamento così idilliaco. Ci si scontrerà con chiusura, con emozioni forti e radicate, con disinteresse. Starà al mediatore colmare questa distanza, secondo il principio “sii il cambiamento che vuoi ottenere”, una sorta di modellamento psicologico delle parti.

A nostro parere raggiungere una consapevolezza, anche parziale, dei valori alla base del pensiero delle parti in causa, permetterebbe loro giungere ad una decisione finale costruttiva e soddisfacente anche nel lungo periodo, concretizzando l’ideale di apporto che il professionista mediatore può fornire alla sua clientela.

  • Guidare verso il campo di gioco
  • Facilitare l’ingresso e l’adattamento
  • Guidare intorno ai confini del campo di gioco
  • Facilitare il gioco delle parti nel campo

Siete pronti per questo ruolo?

Alberto Mascia

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